Più si allontanano le luci del porto e m’inoltro in mare aperto, più percepisco deboli e sfumati i suoni e le voci che fino a ieri erano tutto il mio mondo. I pensieri che ancora volteggiano nella mente, le parole che mi sono detto per convincermi a partire, si dissolvono alla vista del mare scuro che ribolle oltre il ridosso, si perdono nella scia di poppa, fanno rimpiangere le tranquille e inquinate acque del porto da cui ho mollato gli ormeggi.
Una parte di me vorrebbe tornare a terra, a cercare nel fondo di un bicchiere la giusta causa per un letto caldo e braccia accoglienti, a sognare rotte impossibili che non seguirò mai; ma la barca è pronta: sartiame ben regolato e manovre in chiaro. Non resta che aspettare di uscire dal golfo, scrutare il mare per leggere la prima raffica che riempirà le vele e anticipare la risposta della barca alla violenza propulsiva del vento. Sono tranquillo, anche se il culo è stretto com’è giusto che sia, la guancia attenta alle variazioni del vento e l’udito pronto a cogliere i primi gemiti dello scafo al crescere dell’onda. Sono rimasto solo col mio intento e non c’è più niente da pensare, perché in mare i pensieri si staccano come foglie secche dalla coscienza e ricadono vorticando nella scia di poppa, insieme a quel poco di ricordi appiccicati come remore alla memoria che presto si dissolveranno nello sciabordio delle onde sulla carena…
La terra adesso è lontana, una macchia indistinta di luci tremolanti; è già meno che un ricordo, è un sentimento che sale dall’anima e subito si disperde, come i cristalli di sale che brillano nell’aria quando il vento fa esplodere in faccia al sole la spuma di un frangente. Sono gli attimi in cui l’immensità apre le sue braccia a chiunque voglia naufragare dolcemente al di fuori di se stesso; tornano alla mente i versi di un poeta amato in gioventù…
Il mare si fa sempre più scuro e già mi sembra di udire la voce del vento che soffia impetuoso e violento fuori dal ridosso. Temo ciò che mi aspetta ma la paura è compensata dall’eccitazione di essere qui, adesso, qui dove è giusto essere, pronto a ricevere in faccia lo schiaffo del mare e l’urlo del vento. Il cuore si fa piccolo alla vista delle onde che sembrano volermi inghiottire ma la barca è solida, ferma la mano sul timone e le vele a segno. Sono fuori dal ridosso, in mare aperto, un mare tempestoso, duro e scalciante come uno stallone selvaggio che devi cavalcare e far correre se non vuoi che ti uccida. Il tempo di ricordare a me stesso che non è la mia prima burrasca e la paura scompare come per incanto; la vita torna a farsi sentire: sorridere non è più una bestemmia; la morte si spoglia dei suoi terrificanti attributi e si trasforma in un’isola invisibile e lontana che comparirà un giorno improvvisa davanti alla prua, quando non avrò più la forza o la voglia di navigare…
Uscire dal ridosso è il primo atto che sentiamo di dover compiere quando le acque del porto si fanno troppo scure e puzzolenti, quando si fanno spazzatura… Siamo stati sommersi, anzi, immersi nella spazzatura per decenni: in quella familiare prima, che ci ha insegnato le prime regole di appartenenza alla società in cui siamo nati, spronandoci con tutti i mezzi, anche con quelli del terrorismo psicologico e religioso, a divenire festose e obbedienti rotelle di quel mostruoso tritacarne che è la nostra civiltà. Non sono in grado di giudicare se il nostro modello culturale sia peggiore o migliore di altri, e nemmeno se quello che c’è di buono nel pensiero razionale che abbiamo prodotto riuscirà un giorno a compensare i danni causati dagli eccelsi che hanno scritto la storia della nostra civiltà.
A chi subisce l’asfissiante vuoto di una vita senza senso dico: “vattene via, molla gli ormeggi, esci dal ridosso offerto dalle certezze, da quelle sacrosante, inoppugnabili stronzate sulle quali si regge l’equilibrio esistenziale dei più. Non cercare di demolire le certezze: è un esercizio inutile, rischioso e spesso fatale ai meno forti o meno fortunati; prendi tempo, prova a immaginare cosa sarebbe la tua vita senza quelle certezze di cui senti il bisogno di liberarti…
Mi volto e rivolgo lo sguardo alla terra ma le onde sono troppo alte per scorgere un barlume di luce; e poi, a che serve voltarsi; anche se volessi non potrei più tornare indietro perché una virata in queste condizioni potrebbe risultare fatale. Conosco il mare e so che devo tenere lo sguardo attento, fisso sulle onde che si approssimano alla prua; non posso concedermi altro che un malinconico rimpianto per quello che ho lasciato… La terra… con i suoi ridossi che mi hanno protetto da me stesso per tanti anni, le accoglienti poltrone dalle quali fissavo l’albero di fronte alla finestra sempre con lo stesso pensiero nel cuore: “Un giorno tornerò in mare, abbandonerò questa terra dove non puoi camminare senza calpestare qualcuno che striscia”
Ecco, adesso non c’è altro che acqua salata nella mente, acqua che non disseta, acqua nella quale torno per ritrovare il luogo da dove provengo, dove cercherò l’alternativa ai gas venefici che a terra mi stavano asfissiando.
«Esci dal ridosso. Affronta il mare aperto. Separa quello che ti spinge in avanti da quello che vorrebbe farti tornare al porto di partenza. Tutto quello che ti porta indietro puoi anche buttarlo a mare, ma accertati sempre che non ci sia amore dentro le cose che getti via…»
(Les Demoiselles d’Avignon)