I condizionamenti ambientali e affettivi imprigionano la coscienza dell’essere in una sorta di campana di vetro che, nelle migliori intenzioni, ha lo scopo di proteggerci. Una delle singolarità di questa invisibile lastra di vetro si manifesta nell’interazione con i nostri simili: è permeabile ai suoni e alle immagini ma non sempre ai sentimenti, a quello scambio di beni affettivi simbolici generato dall’empatia.
Le tempeste ormonali e intellettuali tipiche della pubertà e dell’adolescenza riescono ad assottigliare e talvolta a distruggere la nostra campana protettiva, col risultato di esporci ai forti venti delle emozioni quando ancora non sappiamo comprendere e governare il senso e il significato di quelle tempeste dell’anima.
Un’altra caratteristica di queste invisibili gabbie è che se vengono distrutte da un forte atto di volontà (i cosiddetti “colpi di testa”), per un po’ si ha la sensazione di esserne privi e si vive quella esaltante sensazione di libertà, di completa padronanza del proprio destino. Purtroppo non è così e, lentamente ma inesorabilmente, a volte senza senza che ce ne avvediamo, i sensi di colpa, la nostalgia per il calore che i ricordi sanno evocare tesse un’ineffabile tela di riflessioni che il tempo polimerizza in una nuova lastra di vetro, in una nuova campana.
“Le stesse cose con gente diversa”: una delle migliori strategie inventate da Māyā per illuderci di aver conquistato la libertà.
Il Codice che la genetica e l’imprinting hanno scritto “dentro di noi” non lo possiamo eliminare e nemmeno negoziare. Quello che possiamo fare è scrivere un nuovo Codice dove il Senso costituisca la premessa maggiore del significato, se non vogliamo ridurci a diventare solo software che cammina.