22 febbraio 2011
A chi ha capito che bisogna scegliere come morire per sapere di cosa vivere è la dedica che compare sulla prima edizione de: Il sogno blu.
Mio figlio, uomo di poche parole e fine linguista, ha così commentato la mia sintesi di mezzo secolo di riflessioni:
«E cosa cazzo significa?»
Avrei preferito mi avesse chiesto conto del senso di quella frase invece che del significato, ma poteva andare anche peggio: poteva archiviarla senza nemmeno l’onore di un commento.
Questa prima e ultima dedica è il denominatore comune delle dodici storie che ho scritto dal 1973 a oggi; se ne hai colto il senso sai cosa fare, se invece il senso di questa frase ti appare e scompare come una luce fioca tra onde spumeggianti di significati, consenti al messaggio di agire come una chiazza d’olio sul mare in tempesta: quando funziona è l’inizio di un viaggio nel passato, nel ricordo di ciò che siamo stati e divenuti; un ritorno in quelle stanze dimenticate dell’anima che la ragione ha ormai ridotto a polverose discariche di vita vissuta.
Le prime quattro storie hanno due chiavi di lettura: la prima è per tutti; la seconda è per chi si riconosce destinatario della dedica, anche se crede che un mezzo-marinaio sia qualcuno che ha subito un’oscura menomazione.
A mio figlio ho dato una risposta che lo ha fatto incazzare:
«Ci sono cose che non possono essere spiegate, ma solo capite!»
Potrebbe sembrare una parafrasi del rapporto tra ragione e fede di Tomistica memoria ma non è così: non è col supporto della fede che possiamo “capire”, ma con una Ragione che, quando occorre, non si vergogni di cedere il passo ai sentimenti.