Caro amico,
stamani ti ho sentito giù di morale: ogni tanto è normale, considerata la tua venerabile età.
Mi sono preoccupato quando hai parlato di crisi esistenziale, perché conoscendo la tua perizia nell’uso del linguaggio non credo tu abbia usato con leggerezza una locuzione così drammatica.
Mi rassicura il saperti colto e consapevole; un impasto che non cura le emorroidi ai neuroni ma può essere usato contro i rigurgiti di giovinezza che sono la vera causa dei nostri sbalzi d’umore. Le difficoltà economiche dopo una vita agiata e brillante possono influire sullo stato d’animo; te lo dice chi sa leggere l’equazione di questa parabola perché come te la sta vivendo. Non credo tuttavia che “i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna” siano sufficienti a far affondare una barca, a meno di averla talmente caricata da abbassarne pericolosamente il bordo libero…
Siamo vecchi, e inseguire l’azzurro di un tempo, fosse negli occhi di una donna o in magiche pozioni, non serve a rischiarare l’indaco di un cielo al tramonto; forse può servire a scrivere romanzi intercalando garbate lustratine tra un capitolo e l’altro.
La consapevolezza ha un prezzo: la rinuncia alle illusioni, a quelle carezzevoli fantasiose bugie che dice a se stesso chi non ha il coraggio di guardare in faccia la realtà: il cancello in fondo al viale.
Come avrai intuito, quando scrivo che l’intelletto può migliorare solo la qualità della morte non mi riferisco all’istante o alle modalità dell’evento: è l’idea della morte che cambia e di conseguenza anche la vita, perché liberandoci da quelle paure della vecchiaia che la fantasia trasforma in cortometraggi, riusciamo a distinguere le cose che contano: gli affetti in prima fila, il coraggio di continuare a esplorare questa indefinibile esperienza che è la vita.
“Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?”
Se potessi, al grande Guglielmo direi:
“Svuota le stive da tutto il ciarpame e la barca fluttuerà leggera nella tempesta, sia che navighi verso un approdo o incontro all’ultima onda, quella che dovremo affrontare con uno scafo nudo e senza nome”.