Da bambini, quando “i grandi” si rivolgevano a noi era quasi sempre per trasferirci il concetto di un valore. I meno dotati di spirito ci cascavano sempre e, col tempo, sono diventati dei bravi e inconsapevoli soldatini che sventolano “Valori” di generazione in generazione; gli altri, quelli che di spirito ne avevano anche troppo per quel tempo, scansavano le consegne con la destrezza di un gatto e, se costretti all’angolo, attendevano con le orecchie basse che passasse la burrasca per defilarsi alla prima occasione e correre a giocare sulla spiaggia o in campagna.
Accadeva ai bambini della mia generazione e non c’erano ambiguità nei rapporti tra noi e gli adulti perché, o facevi a modo loro, oppure passavi in strada la maggior parte del tempo.
Oggi provo un sentimento di confusa gratitudine verso gli adulti della mia infanzia; in particolare verso quelli che hanno cercato con ostinazione di convertirmi al rispetto di valori inesistenti: predicati del nulla che servivano solo a mantenere in equilibrio le loro nevrosi. La gratitudine è per avermi costretto a imparare l’arte di combattere; la confusione, deriva dal fatto che dalle tombe dei loro valori si levano voci che fanno sembrare sterili le mie ragioni.