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I ricercatori dell’Erasmus Medical Centre di Rotterdam (Paesi Bassi) hanno prodotto una variante estremamente contagiosa del virus dell’influenza aviariaH5N1 in grado di trasmettersi facilmente a milioni di persone, scatenando, così, una pandemia. Gli scienziati, guidati dal virologo Ron Fouchier, hanno scoperto che bastano cinque modificazioni genetiche per trasformare il virus dell’influenza aviaria (che finora ha ucciso 500 persone nel mondo) in un agente patogeno altamente contagioso che potrebbe scatenare una pandemia in grado di uccidere la metà della popolazione mondiale. La sua elevata capacità di diffusione è stata dimostrata in esperimenti condotti sui furetti, che hanno un sistema respiratorio molto simile a quello dell’uomo.
(Da un articolo di Cristina Marrone pubblicato il 29 novembre sul corriere.it)

Se dobbiamo credere che i ricercatori avessero come obiettivo una maggiore comprensione del virus H5N1, presumo per orientare la produzione di antivirali più efficaci, non si può trascurare la pericolosità di queste ricerche le quali, secondo l’articolo, vengono svolte anche da altri:

È stato lo stesso virologo ad ammettere che la variante geneticamente modificata è uno dei virus più pericolosi che siano mai stati prodotti. Un altro gruppo di virologi dell’Università del Wisconsin in collaborazione con l’Università di Tokyo è arrivato a un risultato simile a quello di Fouchier.

A quanto leggo in un altro articolo pubblicato da quibrescia.it: “Ora il laboratorio sta premendo per poter pubblicare sulle riviste scientifiche la ‘ricetta’ utilizzata. La notizia è stata pubblicata dal sito di Science…”
il problema è che questa ricerca potrebbe finire nelle mani sbagliate per produrre un’arma biologica tale da scatenare una pandemia con conseguenze apocalittiche. Che fare? Pubblicare la ricerca per aiutare la comunità scientifica a prepararsi a una pandemia spontanea o rischiare di fornire ai bioterroristi le indicazioni per produrre l’arma del millennio?
È di fronte a simili dilemmi che ci si rende conto dell’estrema fragilità del nostro modello di civiltà, che sembra aver assimilato come un dato di fatto le “soluzioni” adottate per creare i nuovi equilibri che hanno regolato i rapporti tra le nazioni dopo la seconda guerra mondiale. Da quegli assetti geopolitici sono derivati gruppi di potere, nazioni, popoli che hanno guadagnato troppo dove altri hanno perso tutto, anche la propria identità culturale.
Non è solo il pericolo di una nuova arma biologica che deve spaventarci, ma l’esistenza di esseri umani che non esiterebbero a distruggere se stessi e l’intera umanità pur di affermare la supremazia delle loro deliranti ideologie. Sembra quasi che nessuno voglia ricordare che siamo stati noi Occidentali a innescare questo fenomeno che ha quasi mezzo secolo di vita e che, se aspettiamo ancora a risolverne le ricadute conflittuali, è prevedibile che qualche pazzo affetto dalla sindrome di Sansone riuscirà a farla grossa…
La natura del problema è l’uomo, non il virus in sé. La domanda che ho posto chiama in causa quel virus sociale che è il terrorismo e la riflessione ci pone di fronte a un’altra domanda: “Cosa induce intere comunità a votarsi alla distruzione e alla morte?
Temo di conoscere la risposta, che non è ascrivibile alla dimensione allucinata dove albergano mistiche follie, ma a quella genetica e vitale ricerca del potere che si è manifestata e si manifesta in ogni forma di civiltà.
Se diamo credito all’aforisma del duca Buren di Curlandia reso celebre da quel figlio di Santa Madre Chiesa che se n’è appropriato, dovremmo “elevare” il Potere a bisogno primario e legittimare chiunque si serva delle umane e divine cose per conseguirlo.
E a questo punto mi chiedo: “Chi o cosa salverà l’umanità dall’autodistruzione?