Chiunque tu sia,
invece di replicare al tuo commento ti dedico questo scritto con motivazione: per l’impeccabile intento evangelico e perché nelle tue parole ho percepito dell’affetto per una pecorella smarrita come me.
Seminario a parte, esperienza che mi è costata anni di dubbi e paure prima di riuscire a metabolizzarla, ti voglio chiarire le idee su quello che penso degli Dei tutti, nessuno escluso.
Sono persuaso (da non confondere con: “ho fede in…”) che tutto ciò che si è detto, scritto e pensato sugli Dei sia un prodotto delle facoltà cognitive che si sono evolute nell’essere umano. Vedi, mi fa sorridere l’idea che Dio abbia una lingua e un popolo prediletto; la storia di “quell’Uomo” in missione per conto di Dio invece m’intriga, perché l’Uomo ha detto delle cose divine, semplici, con poche parole, tipo: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra!” Peccato che le sue parole abbiano dovuto passare da Tarso per arrivare a Roma. Sono più che persuaso che Dio non abbia alcun bisogno di biografi prezzolati e Agenti intermediari. Credo non abbia forma, come l’acqua che dove scorre nasce la vita. Tutto qui; anche se ti pare poco…
Per la mente dei marinai, dove logica e intuizione sono intrecciate come i legnoli di una buona impiombatura, il problema ad accettare gli Dei risiede negli attributi che gli hanno conferito i presunti esperti; giacché l’acqua è acqua: può essere più o meno fredda e salata, ma non sarà mai “Santa”.
Concordo invece con te sui benefici della fede e ti confesso una debolezza: quando le mie rotte mi portano a navigare alle alte latitudini per settimane, a volte mesi e anche anni, rimpiango di non avere nessuno a cui rivolgermi. Mi sarebbe di grande conforto poter dare un senso al martellare delle onde sullo scafo e sulla faccia, invece di lamentarmi col vento del prezzo che paga chi non ha fede. Mugugno tra me come ogni genovese che si rispetti, ma continuo a preferire la parte vuota del bicchiere se in quella piena c’è un liquore che non scalda.
Partendo dagli Dei per arrivare a Dio, comincerò dalla fine, che è sempre più franca dell’inizio in quanto meno condizionata da future attese.
Un teologo che stimo (Vito Mancuso), nel suo libro che ti consiglio affettuosamente di leggere: L’anima e il suo destino, “dimostra” l’esistenza dell’anima muovendo dalla natura intesa dai Greci, la Physis.
«L’intuizione intellettuale alla base di questo libro» scrive Mancuso, «consiste nel ritenere che sia solo investigando questa realtà inesausta della nascita e del principio dell’essere, la natura-physis, che si può comprendere qualcosa della fine del nostro esserci.»
Ho riletto quella frase molte volte perché, se mi è chiara l’idea di cercare il Logos, la Madre di tutte le relazioni, l’Origine (come preferisco chiamare Dio), “investigando” la natura-physis è meno chiaro il significato di: «… che si può comprendere qualcosa della fine del nostro esserci.»” Quando ho letto questo passaggio ho pensato a un refuso, per cui, se “della fine del nostro esserci” diventasse “del fine del nostro esserci“, allora avrebbe un senso che si lega all’anima e al suo destino… Tu che te la fai con la teologia, cosa pensi abbia voluto esprimere?
Ho letto il tuo commento ieri, tra il pranzo e la pennichella; al mio risveglio ho trovato il caffè caldo nel thermos e ho pensato: “Allora è vero che Dio mi vuole bene”.
Una vocina (ma così antipatica che nemmeno io la sopporto), mi ha fatto notare che, con tutto rispetto per Lui, il caffè l’aveva fatto mia moglie prima di uscire per fare la spesa.
Non sono una pecorella smarrita e degli ovili non mi sono mai fidato: troppo vicini ai macelli e al barbecue.
Se possiedi un discreto senso dell’umorismo guarda questo video: dura quasi quattro ore, poche se consideri che potrebbe guarirti dalla madre di tutte le bufale.