Cosa succede quando confuse le coordinate dell’essere e del fare persiste il dubbio sulla rotta da seguire?
Una scuola di pensiero suggerisce di buttare a mare tutto quello che c’è sottocoperta (nel cuore) e fare vela per la foce di quel fiume che scorre nel profondo dell’anima.
Risalire quel fiume mi porterà lontano, indietro nel tempo e nello spazio; so che tornerò nei luoghi che non sono più un dove ma il quando di ciò che sono stato, dove incontrerò le istanze delle persone che condividevano con me quel presente. Mi rivedrò com’ero, ricorderò i pensieri che facevo e gli umori che rendevano dolci o amare le mie giornate. So anche che accadrà quello che più temo: incontrare i fantasmi degli IO abbandonati dalla Ragione lungo i bordi dei campi come soldati feriti che si aggirano nella sentina dell’anima, in quella palude dove giacciono insepolte a marcire le spoglie dei sogni infranti dalla realtà.
La Ragione, crudele matrigna, non può curarsi dei tanti figli dell’anima caduti in battaglia perché non c’è tempo: si deve preparare la prossima offensiva contro il destino e servono truppe giovani, fresche e abbastanza ingenue da rispondere al primo squillo della tromba; la Ragione ha sempre bisogno di nuovi sogni che forniscano l’energia necessaria a tessere le sue trame e li chiede all’anima. E quella sciagurata, invece di tenersi stretti i suoi figli più cari glieli affida; perché l’Anima non sa dire di no, e quando la Ragione chiede ancora e ancora sogni da mandare al macello in trincea, l’Anima cerca un pensiero che la fecondi per partorirne di nuovi.
Quando le coordinate dell’essere e del fare si confondono, è perché le stelle sono troppe e la notte troppo silenziosa per non udire i lamenti di quei fantasmi che chiedono una degna sepoltura.
Ricordi d’altri tempi che hanno generato l’idea di cui sono figlio.