Quando ho visto il filmato del gabbiano robot della Festo ho rimpianto di non aver dedicato la vita alla scienza. Approfondire le conoscenze di una disciplina scientifica “verticalizzando” l’indagine cognitiva è appagante, oltre che vantaggioso sul piano socio-economico. Gli “Specialisti”, quelli che dedicano anima e corpo a qualcosa di specifico, investono tutto il loro tempo nella ricerca e nel perfezionamento della loro scienza o arte tagliando fuori dal mondo tutto quello che è “Altro”. Agli Specialisti non interessa ciò che sono bensì quello che fanno. Il problema è stabilire con loro delle relazioni non professionali.
Accade però ad alcuni di avvertire il bisogno di alzare gli occhi dal fare e scoprire che il cielo è pieno di stelle: tante, troppe per non chiedersi cos’altro ci sia oltre quello che riusciamo a interfacciare con i nostri sensi. Questi sfortunati, o a seconda dell’osservatore fortunati figli di mille perché, spesso si perdono negli oceani del cosmo e trascorrono la vita col naso all’insù, a tracciare rotte nello spazio che nemmeno loro sanno dove portano, sempre in cerca di quel sogno felice dell’infanzia di cui hanno perso le immagini ma non il ricordo.
Altri ancora invece, si guardano intorno e scoprono che tanto le relazioni tra le cose quanto tra le persone sembrano dipendere dallo stesso Codice: dove Caso, Scopo, Logica, Intuito e Paradosso sono tutti legittimati a contribuire senza conflitti alla scoperta dell’essere.
Il fare, per gli amanti dell’intorno, è funzionale solo alla “necessità” di navigare alla scoperta di nuove isole: architetture di sistemi relazionali che materializzano l’essere in tutte le sue infinite forme.
Gli amanti dell’intorno sono marinai, per farla breve.
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