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Sarà l’età, o forse è il mio archivio di ricordi troppo pieno che perde fotogrammi dalla vescica a ogni minima perturbazione dell’anima, ma resta il fatto che dopo cinque, sei ore al massimo di sonno, mi sveglio e non c’è verso di riaddormentarmi. Da tempo ho imparato a convivere con i miei notturni flussi carsici e spesso li sfrutto per portare alla luce storie di cui avevo quasi perso la memoria; com’è accaduto questa notte con Peppinella, un “diversamente uomo” con cui ho condiviso un imbarco di quattro mesi a bordo di un mercantile.
Su quella quella vecchia carretta è successo di tutto; l’equipaggio pareva essere uscito dal Casting di un film di Woody Allen, invece che dall’Ufficio di Collocamento Gente di Mare, e la nave, vecchia e malridotta, ogni volta che navigavamo con mare grosso al traverso pareva sempre sul punto di capovolgersi. A bordo dell’Oscar Senigallia abbiamo attraversato il Canale di Sicilia per quattro mesi e sempre sulle stesse rotte: Casablanca-Costanza e viceversa. Era la sera del 7 Febbraio del 1974 quando m’imbarcai nel porto di Ancona. Ricordo che era stata una giornata grigia e malinconica, e che una pioggia insistente mi aveva accompagnato durante il viaggio in treno da Genova ad Ancona. Quando ci ripenso, provo ancora quel senso di smarrimento percepito poco prima dell’imbarco, quando il taxi si era fermato davanti allo scalandrone di quella nave nera, buia, con la vernice scrostata in molti punti. Alla vista delle teste dei chiodi ribattuti, che chiudevano come bottoni i lembi delle lamiere dello scafo, mi era preso un senso di sconforto: era da un pezzo che le lamiere dello scafo venivano saldate invece che chiodate e questo significava che la nave era molto vecchia. Ero salito a bordo con un groppo in gola e ne ero sceso quattro mesi dopo con abbastanza soldi per campare un anno, due quaderni di appunti e un nuovo archivio di ricordi e di emozioni. Tra i tanti personaggi del singolare equipaggio di quella nave, che comunque sapevano tutti fare il mestiere per cui erano pagati dagli armatori, c’era un “diversamente uomo” al quale sono debitore di avermi aperto una nuova finestra sul mondo; una diversa geometria dello sguardo con cui osservare gli spettacoli e le danze interiori della sessualità. Peppinella, di cui ricordo solo che si chiamava Giuseppe, era il garzone di cucina, come risultava nel ruolino d’imbarco. Il soprannome era indicativo di come lui si sentisse una lei, ma solo per quello che riguardava i suoi giochi erotici; per tutto il resto era molto più “uomo” di tanti altri che non mancavano occasione di ostentare la propria appartenenza al sesso maschile. Le sue raffinate tecniche di corteggiamento, da quel “Casanova” che credeva di essere, invece dei classici strumenti di seduzione come i fiori e la poesia, comprendevano dei deliziosi panini imbottiti che riservava al destinatario delle sue attenzioni. A chi non ha mai lavorato su un mercantile, risulterà difficile comprendere il potere seduttivo di un panino appena sfornato, croccante, imburrato e farcito col prosciutto cotto, quello riservato al Comandante. Peppinella, a metà mattina, si presentava sul posto di lavoro del prescelto di turno con due panini, una birra gelata, un sorriso e una proposta erotica. Per quanto io abbia accettato con piacere i panini, non ho mai ceduto alle sue lusinghe, anche se a volte sono stato tentato dal farlo. Quando il mare s’incazza sul serio, si pensano tante cose che si solito non vengono in mente e si è portati ad accettare quello che la vita ti offre; cominci a pensare che prima ancora di essere maschile o femminile un corpo è caldo… Non so quel “diversamente uomo” con quanti sia riuscito a spuntarla, ma è certificato che in meno di un mese era riuscito a fare sesso con almeno un terzo dei ventiquattro componenti l’equipaggio. Giuseppe era un essere umano che non rispondeva a nessun ragionevole canone genetico: qualcosa di simile all’ornitorinco. Alto un metro e settantacinque circa, longilineo e dotato di un fisico atletico che lui riusciva a rendere flessuoso con eleganti movenze, aveva sempre un sorriso da regalare a chiunque incrociasse il suo sguardo. Il volto, dai tratti regolari e con un bel profilo greco che pareva fatto apposta per essere immortalato nel marmo, sembrava illuminarsi di luce propria quando le sue belle labbra rosa e carnose si schiudevano per sorridere. Fin qui sembrerebbe che la natura fosse stata molto generosa con Peppinella. Qualche sospetto che madre natura si fosse invece divertita a scombinare le carte, tuttavia, nasceva osservando il suo l’incedere alla Wanda Osiris anche quando si dirigeva verso il frigorifero della cucina, e per il contrasto tra due splendidi occhi azzurri, incorniciati da lunghe ciglia da cerbiatto, e la voce cavernosa di un orco alla quale cercava di dare un tono soavemente erotico, quando promuoveva le delizie che ti avrebbe regalato se solo lo avessi lasciato fare per qualche minuto. E non era tutto, perché la natura si era sbizzarrita nel dotarlo di un folto pelo nero, ricciuto, forte e continuo dalle caviglie ai capelli della nuca, per quanto riguardava la vista di schiena; mentre di fronte, solo la barba che si radeva due volte al giorno interrompeva i peli che frangevano ricciuti fino alla base del collo. Peppinella possedeva l’animo dolce e sensibile di una fanciulla di buona famiglia, ma in un corpo che rappresentava l’icona della virilità e con gli appetiti sessuali di uno scaricatore di porto…

A lui devo l’incontro con Hafida: la prima “vera” donna della mia vita; una prostituta di Casablanca che si è presa la mia verginità in cambio di mille e trecento lire, taxi e hotel inclusi. Il racconto completo, lo trovate nell’omonima raccolta: I calzini del Cardinale di recente pubblicazione.