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Chagall - Il mondo sottosopraCaro amico,
dici bene quando affermi che il confine tra percezione e convinzione è a volte è così sottile che il peso dell’ombra di un pensiero è sufficiente a far pendere la bilancia.
Nel caso di una presunta affinità elettiva” della quale “adesso resta poco se non nulla”, come scrivi, mi sorge il dubbio che le conclusioni a cui sei giunto risentano di un errore di valutazione.
Prima di entrare nel merito, ti premetto che quanto scriverò rappresenta le convinzioni maturate elaborando le mie personali esperienze; quindi, è possibile che siano completamente inadeguate rispetto alla tua storia. Va da sé che, come tutte le convinzioni, potrebbero essere approssimate o anche errate.
A mio parere (e questa premessa vale per tutte le affermazioni che farò) non servono maggiori dettagli per verificare il più comune tra gli errori che si commettono nella fase di analisi, perché i comportamenti che sostanziano le relazioni umane sono i più difficili da classificare e valutare. La prima e più importante classificazione riguarda la radice della sensazione di aver riscontrato un’affinità elettiva con qualcuno: radice percettiva o cognitiva.
Ti faccio un esempio semplice: due persone si “sentono” percettivamente affini quando guardandosi negli occhi generano reciprocamente e sincronicamente la stessa emozione. Possono invece “scoprirsi” cognitivamente affini, per la coincidenza di un elevato numero di convinzioni o perché navigano sulla stessa rotta.
Quando avevo meno chili e più ormoni, mi è capitato di percepire in altre persone il mio stesso sentire, per scoprire in seguito, che si era trattato di una mia attribuzione arbitraria causata dal forte campo gravitazionale di quei soggetti verso i quali mi sentivo irresistibilmente attratto. Sarebbe stato tutto molto bello e molto semplice se l’altro avesse provato i miei stessi sentimenti e, la mente, quando può, sceglie il percorso più breve per chiudere un’elaborazione. Guarda il caso, il percorso più breve corrisponde sempre ai nostri desideri e, il gioco è fatto: l’ombra di un pensiero, come il consenso ricevuto dall’altro per qualcosa che ho detto o fatto, è sufficiente per convincermi di un’affinità che esiste solo nei miei desideri.
Nell’analisi dell’elaborazione di un vissuto evito di “trarre conseguenze” da una percezione per non pregiudicare la correttezza della sintesi valoriale, perché credo  che il sentire richieda un approccio diverso rispetto ai pensieri, per i quali un buon esercizio di tracciamento delle gerarchie causali è sufficiente a determinare i fattori che concorrono a determinarne il valore.