E se un giorno leggessimo che un pappagallo rosso ha dichiarato guerra a quelli verdi affermando che solo i pappagalli rossi sono figli di Dio?
Credo sorrideremmo, pensando a una delle tante bufale che scorrazzano nelle praterie dell’informazione; nessuno crederebbe a una storia del genere: gli animali non hanno tempo da perdere, impegnati come sono a sopravvivere.
Se invece fosse un essere umano a dichiararsi portavoce di Dio, magari affermando che il Padreterno ha i capelli rossi e quindi solo “i Rossi” sono il Popolo Eletto?
In questo caso, direi che “il portavoce” è un folle o un fradicio; lui e la sua schiera di avidi e malvagi cortigiani: gli Isti per convenienza. Diverso giudizio riserverei agli Ani per necessità: molli e inconsapevoli terga prone a qualsiasi Verbo capace di offrire un surrogato di senso al nulla.
Non ce l’ho contro le religione in sé; grazie a dio è da tempo che me ne solo liberato, e la dimostrazione di quanto il Verbo sia per me trasparente è che mi sforzo di essere benevolo verso gli Ani: brava gente per la maggiore, persone col solo torto di non sopportare l’idea che il cielo gli possa cadere sulla testa. Se Dio ha i capelli rossi, che altro possono fare i poveri Ani se non correre subito da un Ista a farsi tingersi i capelli?
Per chiarire il concetto a chi è delicato di stomaco e non digerisce le metafore, quello che viene impropriamente chiamato razzismo religioso, culturale o etnico che sia, è una caratteristica congenita della specie umana: il diverso come potenziale minaccia, da respingere, sottomettere, indottrinare e sfruttare a seconda della strategia di marketing adottata.
Percorrendo la scala dell’evoluzione umana, il diverso può essere declinato a ogni gradino.
All’inizio della scala osserviamo un atteggiamento nei confronti dei diversi simile agli animali: si bada innanzitutto se dal confronto dei rispettivi attributi l’altro emerga come predatore o preda; al resto ci pensa madre natura, che non disdegna di riciclare il nemico in un gustoso spuntino.
Qualche gradino più in alto, l’elevazione evolutiva della tribalità ha prodotto i primi Leader, le lotte interne per il potere, i filtri culturali che hanno fatto la storia della nostra ancora troppo grezza civiltà.
Il nemico adesso non è più il diverso per natura ma un appartenente ad altra tribù, oppure alla nostra ma con idee diverse.
Non è una bella cosa da dire ma l’umanità non si è ancora innalzata da quel gradino della scala evolutiva: ne abbiamo esteso la superficie con la tecnologia ma il livello non è cresciuto; anzi, se osserviamo quotidianamente ciò che accade nel mondo, viene il sospetto che sia iniziata una regressione, poiché le diversità continuano a mietere vittime sull’altare delle “ragioni” imposte dalla classe dominante. Il timore è che l’umanità, misconoscendo la natura comune a tutti gli esseri umani a favore dell’appartenenza, si stia nuovamente tribalizzando.
Ci si rivede tra qualche secolo, sempre che nel frattempo i coglioni col filtro non facciano troppi figli, inducendo il dio di turno a premere il bottone.