Umberto Eco, nel suo libro L’isola del giorno prima, ha così definito la dissimulazione:
«Dissimulare è tendere un velo composto di tenebre oneste, dal che non si forma il falso ma si dà qualche riposo al vero.»
“Il vero” che, grazie a un un velo di “tenebre oneste”, può finalmente “riposare” dall’esposizione al giudizio del mondo, ma senza ricorrere al “falso”: quale intrigante arcipelago di virgolettati! Viene voglia di esplorarne le isole…
Prua sul Vero dunque, il più puro tra tutti i distillati che la ragione produce dalla fermentazione del nostro sentire: ciò che sappiamo di essere stati e di aver fatto a prescindere dalle apparenze e dai giudizi. Roba che ti ubriaca solo a sentirne il profumo.
Ma se il Vero rappresenta la sintesi di ciò che siamo, perché dev’essere protetto? Forse perché il Vero ci consegna allo sguardo degli altri come chi si presenta nudo a un ballo in maschera; forse è la consapevolezza di quanto il Vero sia indifeso dagli attacchi dei malintenzionati a suggerirci di cercare una forma di protezione…
Ed eccola là che si staglia sull’orizzonte, la protezione creata dal genio di quel gran figlio di Minerva: l’isola delle “tenebre oneste”, i veli che coprono il volto dell’anima quanto basta per confondere lo sguardo del malizioso. Veli di tenebre tessuti con piccoli silenzi che sarebbe stato facile riempire di parole; ma l’onestà di questo velo consiste nel proteggersi evitando d’indossare le maschere che simulano qualcosa che è falso.
Al secondo bicchiere, dopo aver terminato di leggere L’isola del giorno prima, ho compreso di aver vissuto gli ultimi trentanni della mia vita sulla quarta isola: quella dove il Vero ottiene di riposare.
Il Mestiere mi suggerirebbe di dire che è stato il Destino a sfrattarmi da quell’isola felice, ma la verità è un’altra: mi ero rotto i coglioni di riposare e, pur di tornare a navigare, mi sono imbarcato su una barca che non esiste.
Saranno cazzi a convincere i delfini che non sono uno squalo…